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RECENSIONI

OVVERO CHE NE PENSA LA GENTE DI QUEL CHE SCRIVI, CIOÈ SCRIVO?

 

Qui di seguito potrete trovare tutte le recensioni ai miei libri.

09

Recensione di Piersandro Pallavicini
su Tuttolibri di "La Stampa" a La resa
 

Bei libri che ti fanno divertire arrivano, qualche volta, anche da quell’area della piccola editoria che di solito stampa testi complessi, di pregio, ma che richiedono impegno e attenzione da parte del lettore. Il divertimento, che deriva dall’intrattenimento, cioè dalla scioltezza narrativa, è uno dei punti forti di La Resa, nuovo lungo romanzo di Fernando Coratelli, appena uscito per Gaffi, editore ad alto coefficiente di qualità e complessità.

Per sgombrare il campo dagli equivoci: ne La Resa non si ride, il divertimento è un altro. Si partecipa accoratamente – vien da dire morbosamente – all’intrigo di vicende di un ampio e vario gruppo di protagonisti. Siamo a Milano nei nostri giorni, è giugno, mattina, la città tira al massimo per la crescita del prodotto interno lordo nelle ultime settimane prima della pausa estiva. Scoppiano quattro bombe in centro, contemporaneamente, e sono bombe jihadiste.

Con un montaggio cinematografico, incalzante per i continui cambi di punto di vista, le vediamo esplodere una per una attraverso gli occhi di Tommaso, Andrea, Agata, Teresa. Che tra loro da anni intrecciano rapporti di amicizia, amore, gelosia. Che sono avvocati, antiquari, esperti di finanza. Che sono single, separati, approssimativamente fidanzati, genitori a metà. Che insomma ben rappresentano la disordinata borghesia milanese del nuovo millennio. Dopo le bombe, tutto cambia: gli affetti, il lavoro, le prospettive a lungo termine, non ultimo il modo di pensare ai rapporti tra occidente e islam e l’impegno da profondere nella vita. Questa la lezione dell’undici settembre newyorkese, questa la tesi di Coratelli per i corrispettivi italiani della middle class post 11/9. Mettiamoci un tocco di intrigo internazionale e spionaggio, e avremo un romanzo fresco e ingegnoso per l’estate.

 

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Piersandro Pallavicini

 

 

08

Recensione su D-Repubblica a La resa

 

 

Alle 9.55 di un giorno qualunque Milano esplode sotto i kamikaze. Quattro attentati terroristici in quattro punti diversi della città. Le sirene delle ambulanze, l'orrore dei morti, il tam tam mediatico. La vita dei quattro protagonisti è sconvolta: Tommaso, antiquario disilluso, (ricorda a tratti il Toni Servillo de La grande bellezza, ma più giovane) Agata, businesswoman con velleità rivoluzionarie, Teresa, avvocato idealista, e Andrea, lo spiantato a caccia di soldi facili. "Dobbiamo cambiare, non possiamo restare immobili. Dobbiamo fare qualcosa", dice Agata. La voglia di "valori" è forte. C'è chi torna a scommettere sull'amore, chi vuole proprio voltare pagina, fare qualcosa di buono per gli altri.

Sullo sfondo le teorie del complotto, spionaggio/ controspionaggio e una Milano dove sotto la patina di efficienza c’è un underworld di razzismo, corruzione, malaffare.

Con una tecnica incentrata sul montaggio cinematografico alla De Lillo e un ritmo serrato dato dai dialoghi secchi ed ellittici, lo scrittore Fernando Coratelli scompone e ricompone la sequenza spaziotemporale di un plot complicato, in cui le quattro vite incrociano la Storia. Il risultato è La resa, Gaffi editore, un romanzo corale che s’impernia su una domanda fondamentale: siamo ancora capaci di sognare un futuro diverso? O i kamikaze islamici con la loro utopia negativa sono rimasti unici depositari di una visione rivoluzionaria della società? Coratelli, ideatore del webmagazine Tornogiovedì è alla terza prova letteraria, dopo Altrotempo e Quando il comunismo finì a tavola. In La resa molto convincente è  il ritratto di Tommaso, che nelle sue aporie sentimentali e il disincanto esistenziale, incarna i dilemmi e le fragilità del maschio contemporaneo che attraversa la vita con lucidità ma senza mai scegliere da che parte stare.

 

 

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Mara Accettura

07

Recensione di Andrea Carraro su "Succedeoggi"
a La resa

La resa di Fernando Coratelli (Gaffi) è un romanzo a tutto tondo.  Non un antiromanzo, né un racconto lungo stiracchiato e nemmeno uno di quelli che oggi si spacciano per romanzi e in realtà sono tuttalpiù dei personal-essay, dei romanzi-saggi personali, magari anche di pregio, ma che denunziano un impaccio (o un rifiuto) alla narrazione. No, Coratelli ha scritto un romanzo-romanzo. Beninteso, non un romanzo “ottocentesco”, ma un romanzo di oggi, nelle descrizioni, nei dialoghi, leggibilissimo, divertente, con una trama appassionante dalla prima all’ultima pagina, un pugno di personaggi forti che lasciano il segno, una struttura complessa, composita, potente, legata forse più alla tradizione americana che italiana. Penso a alcune esperienze del romanzo Moderno (Dos Passos) e postmoderno – De Lillo, citato in esergo al libro. Ma penso pure a certi film – uno in particolare che è una mia ossessione: America oggi – di Altman, per la costruzione, a  incastro, di varie  vicende (spesso anche sfalsate nel tempo, di pochi minuti, di pochi secondi, o addirittura di anni quando la narrazione rappresenta dei flash-back). Il romanzo racconta di una serie di attentati terroristici di matrice islamica che colpiscono un certo giorno in vari punti la città di Milano. Coratelli ci racconta, come meglio non avrebbe potuto le vite dei suoi personaggi nel corso dell’evento catastrofico, ma anche subito prima e subito dopo, e in altri momenti delle loro esistenze; esistenze che si intrecciano, si allontanano, si perdono, tornano a incontrarsi di nuovo, dominate da un ordine supremo che potremmo chiamare destino o più propriamente “caso”.

Diciamo subito che non era affatto facile scrivere un romanzo così, chiunque abbia un minimo di esperienza nella scrittura narrativa lo capisce immediatamente, dopo poche pagine. Un romanzo, questo di Coratelli, che ambisce nientedimeno a organizzare il caos – tipica materia del postmodern: riguardo i limiti alla nostra capacità di conoscere decretati anche dalle scienze (entropia, teoria della probabilità, ecc.). [...]

 

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Andrea Carraro

06

Recensione su "Il Fatto Quotidiano" a La resa

È una mattina di giugno di un anno imprecisato di inizio millennio. Quattro kamikaze si fanno esplodere in quattro punti diversi diMilano uccidendo civili e gettando nel panico una città e una nazione. Sono attentati di matrice araba che rientrano in quello che, a partire dagli anni Novanta, chiamiamo “scontro di civiltà”. Si fanno i conti con i morti e con i feriti, si fanno i conti con una classe politica rozza e meschina che appare totalmente impreparata ad affrontare un’emergenza di questa portata, si fanno i conti soprattutto con le certezze che vengono meno in ciascuno di noi. Quattro personaggi – un antiquario (Tommaso), una manager che opera nell’alta finanza (Agata), un piccolo affarista impelagato in loschi traffici (Andrea) e un avvocato (Teresa) – tutti tra i trenta e i quarant’anni, rappresentanti di una generazione inconcludente, arruffona, spaventosamente abulica, bollita da una giovinezza dilatata ad libitum, si ritrovano loro malgrado coinvolti, o semplicemente lambiti, da fatti più grandi di loro e da un mondo che improvvisamente gli dichiara guerra. È La resa, il nuovo romanzo di Fernando Coratelli,

In un famoso e controverso saggio di Samuel P. Huntington, apparso nel 1996 e pubblicato in Italia da Garzanti con il titolo Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, testo che anticipava sensibilmente ledinamiche conflittualiche avrebbero condizionato la vita degli uomini nel primo decennio del ventunesimo secolo (tanto da fare dell’autore, secondo qualcuno, una specie di profeta del nuovo millennio), si leggeva: “La mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura. Gli Stati nazionali rimarranno gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro”.

Le “linee di faglia” di cui parlava Huntington sono il luogo su cui si concentra lo sguardo di Coratelli ne La resa. Un grande vuoto, politico e culturale, ma prima ancora esistenziale, una frattura nella storia abitata da fantasmi dediti a niente di più oneroso di un aperitivo, ombre incapaci di coltivare affetti e amori, che cercano di approfittare dell’ecatombe per dare un senso alle proprie vite, magari inseguendo la redenzione in una Ong per poi scoprire che nessuno è innocente e che nessun luogo della terra, neppure il più disgraziato, è salvifico per la coscienza e per l’anima. Un romanzo sorretto dall’ambizione di non assoggettarsi ai contesti reali, ma di manipolarli fino a ricreare una realtà possibile, e che se ha un torto è quello di arrivare nelle librerie italiane con qualche anno di ritardo, ossia in un’epoca – la nostra – in cui il grande tema della crisi finanziaria ha soppiantato, nella percezione collettiva, la paura del terrorismo internazionale.

La resa a cui si riferisce il titolo è il crisma più evidente di unainadeguatezza, una disillusione che è, direi, generazionale. Una capitolazione che si realizza al cospetto di eventi che i personaggi di questo romanzo vivono con un fondo di imperturbabilità, sui quali ragionano in maniera superficiale, a tratti distaccata, interessati unicamente al modo in cui l’enorme dramma collettivo finisce per incidere sulle loro giornate asfittiche e sulle loro viteordinariamente disordinate. C’è il senso incombente della Storia e l’attenzione alle oscillazioni delle masse, temi cari a un autore come Don DeLillo a cui spesso Coratelli strizza l’occhio.

Un romanzo impegnativo, dunque, che però ha il pregio di essere sorretto da una scrittura fluente e spigliata, con dialoghi di grande realismo e un ritmo febbrile, caratteristiche che lo rendono infine (cosa che non guasta mai) una lettura piacevole e coinvolgente.

 

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Andrea Pomella

05

Recensione su "La Gazzetta del Mezzogiorno"
a La resa

Una serie di attentati kamikaze devasta Milano ponendo ciascuno di fronte alle proprie responsabilità, eppure, smorzatasi l’onda emotiva, tutto torna a ripetersi uguale a se stesso: è lo spunto narrativo da cui si sviluppa La resa (Gaffi ed.), l’ultimo romanzo diFernando Coratelli, nato a Bari ma oggi residente nel capoluogo lombardo, dove lavora in ambito editoriale.

I quattro protagonisti principali appartengono tutti alla generazione che in ambito letterario è stata definita Tq, ossia quella dei trenta-quarantenni; ognuno di loro segue per inerzia la rotta della propria esistenza ma, quando tutto intorno non restano che macerie e paura, è costretto a interrogarsi sulle proprie priorità, a riconsiderare la quotidianità: Andrea che viveva di sotterfugi, passando da una relazione amorosa all’altra, decide di accettare un posto fisso e tornare da moglie e figlio; Teresa, avvocato penalista, pensa di dedicarsi a coloro che subiscono soprusi e non hanno i mezzi per difendersi in tribunale; Agata vuole lasciare la carriera da manager per entrare in una Ong; infine c`è Tommaso, amico di lunga data di Andrea, ex di Agata e incerto pretendente di Teresa, l’unico che non intravede alternative alla propria attività di antiquario e manifesta scetticismo riguardo ai propositi altrui forse perché da ragazzo ha creduto alle velleità rivoluzionarie per poi accorgersi che la resa della sua generazione allo statu quo è stata incondizionata.

Intanto, intorno a loro si muovono i servizi segreti, italiani e non, che erano sulle tracce degli attentatori e sono ora decisi a riscrivere la verità dei fatti, ad approfittare dello sgomento generale per operare ai margini della legalità: la resa è anche quella dei conti di una civiltà al collasso, incapace di accogliere la diversità e alimentata dal sospetto.

A farne le spese nel romanzo di Coratelli saranno gli stranieri, senza distinzione, e i loro presunti fiancheggiatori, tra cui Tommaso, che dovrà dar conto dei suoi trascorsi parapolitici e di aver (inconsapevolmente) dato lavoro e regolarizzato uno dei kamikaze. Ma La resa, più che come spy story, si fa apprezzare come romanzo generazionale, oltre che per la scrittura efficace e immediata e cogliere senza esitazioni peculiarità e distorsioni dell’oralità.

 

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Giovanni Turi

04

Recensione su "La Poesia e lo Spirito" a La resa

Questo romanzo racconta l’oggi di una generazione, quella dei trenta-quarantenni, e racconta l’oggi di una città, Milano. E lo fa con la ragion veduta dell’autore, Fernando Coratelli, che è nato nel 1970 e parla delle persone che conosce e che incontra nella vita di tutti i giorni, nel posto che frequenta ogni giorno. Per farlo ci impiega un tot di pagine, in molte delle quali sembra che i componenti della generazione raccontata vogliano realmente impegnarsi per cambiare il mondo – per quanto possibile in meglio a seconda delle sensibilità personali di ognuno. Invece, quando si arriva alla fine… si realizza ciò che fin dal titolo era evidente. Si arrendono tutti. E nel caso in cui qualcuno continui a combattere, be’, non se la passa tanto bene.

Ci provano tutti, eh. Non è quello il problema. Soprattutto se trovano un motivo per scatenare l’energia vitale che dopotutto hanno – per questioni anagrafiche ma anche per competenze professionali, cultura, buona salute. Quel motivo sono gli attentati dell’11 giugno, ovvero 4 bombe fatte esplodere da kamikaze islamici in vari punti della città. Tra i personaggi ce ne sono 4 che si salvano, per motivi fortuiti e indipendenti dalla loro volontà: Tommaso, antiquario, Agata, dirigente di una banca d’affari, Teresa, avvocata e Andrea, faccendiere.

A pagina 65 si ritrovano sopravvissuti, e quasi tutti pervasi da stupore energizzante. A pagina 410 la loro voglia di cambiare il mondo in meglio, affinché vengano meno le ragioni per le quali i terroristi di mezzo mondo fanno sfracelli, è già esaurita (e non è ancora agosto, il mese delle ferie). Ognuno prosegue nella propria vita precedente, ma avendo compiuto dei passi in avanti che li pone in condizioni migliori rispetto a prima. Tommaso è politicamente confuso avendo visto la pochezza dei partiti di sinistra nell’ultimo ventennio, ma il suo negozio di antiquario non risente della crisi. Agata poteva fondare una Ong per andare a rompere le scatole agli imperialisti americani nei campi profughi del Medio oriente, ma ha verificato sul campo che in certe Ong l’ipocrisia è grande. E quindi prosegue la sua carriera nella banca, sulle ali di un contratto che farà ricca lei e non solo. Teresa aveva pensato di aprire uno studio legale proprio, dedito alle cause civili, ma dopo aver difeso con successo un parlamentare del centro destra le si aprono le porte del Parlamento. In cui entrerà sotto insegne politiche in cui non ha mai creduto, ma insomma, dopo pochi mesi potrebbe emigrare nel gruppo misto e poi passare a sinistra, sempre che le convenga. Andrea poteva diventare un marito fedele e buon padre di famiglia, grazie a un contratto di lavoro che aveva trovato in pochi istanti. Ma non ce la fa, la sua natura è un’altra e per assecondarla fa il malavitoso. [...]

 

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Guido Tedoldi

Recensione su "Il Sole 24 Ore"
a Quando il comunismo finì a tavola

Un libro non si giudica certo dalla copertina, ma è indubbio che quella del libro " Quando il comunismo finì a tavola" di Fernando Coratelli, color rosa pastello e lo schizzo, ideato da Giuseppe Incampo: l'immagine cult del brodo Star di caroselliana memoria e il cucchiaio colmo di falcetti e martelli commestibili, colpisce nel segno e incuriosisce.

Ti accorgi subito che si tratta di un libro originale e intrigante, scorrevoli, divertenti, pagine per riflettere sorridendo, una testimonianza intelligente e disincantata dei nostri ultimi trentatré anni visti in prospettiva italiana, analizzando con saggia ironia un paese sempre sull'orlo di una crisi di cambiamento che stenta a decollare. Un'epopea partecipe e d'interrogazione, autobiografica e vivida, quella che scaturisce dalla moderna penna di Fernando Coratelli, classe 1970, che partendo dal 1978 suddivide il racconto in quattro spazi temporali, ognuno a undici anni di distanza, per giungere fino a oggi. Trentatré anni raccontati " per smettere di mangiare bambini" giocherellando sul luogo comune riferito ai comunisti, utilizzando come punti di riferimento la memoria collettiva, il cibo e la musica, dedicando il libro ai negri, agli zingari, ai froci, alle femmine, a chiunque sia discriminato solo con le parole.

Allacciate le cinture si parte per un viaggio contromano in un'atmosfera onirica. Uno scrittore barese ideologicamente di sinistra, testimone e narratore del libro, incontra in un'enoteca Federica, giornalista dalla voce graffiata, per un'intervista sull'impegno socio-politico di un uomo nato negli anni Settanta. Coratelli da questo espediente narrativo inquadra il periodo storico italiano in parallelo agli eventi mondiali, prende il via dall'eco del West Sussex, dove nella primavera del Settantotto scoppia il fenomeno mondiale del gruppo rock "The Cure" mentre in Italia le Brigate Rosse rapiscono Aldo Moro. In un fiat siamo già nel 1989: cade il muro di Berlino , il Partito Comunista cambia nome, i momenti salienti di quegli anni scorrono veloci nelle pagine:" Qualcuno afferma che la nostra generazione è fatta di traumi senza evento , io credo il contrario che siamo una generazione schiaffeggiata da eventi senza aver riportato grossi traumi".

Termometro del cambiamento culturale ed epocale è il cibo: dalle tartine al caviale agli hamburger di McDonald, dal fast allo slow food, dal cinese al sushi, mentre la rucola invade tutte le pietanze. Un excursus culinario per ricordarci che l'identità e le scelte di un popolo a tavola lo rappresentano. Eccoci ai nostri giorni, lo spettro della crisi finanziaria incombe, i comunisti, che forse non esistono più, mangiano di tutto tranne i bambini, il Pdsdspd –Partito democratico di sinistra dei democratici di sinistra del partito democratico, non sappiamo se è rimasto di sinistra ma democratico sicuramente. Consigliato ai buongustai e ai sognatori. 

 

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Francesca Motta

03

02

Recensione su "Il Fatto Quotidiano"
a Quando il comunismo finì a tavola

“Voglio raccontarti i tuoi trentatré anni divisi per undici, i trentatré anni in cui il comunismo è finito a tavola. Già, perché si è smesso di mangiare bambini e ci si è dati al cool, al gourmet, alla radicalizzazione chic”.

Si leggono cose così in Quando il comunismo finì a tavola, un libro di Fernando Coratelli uscito in questi giorni per l’editore Caratterimobili. Una copertina rosa su cui campeggia la rivisitazione di una famosa icona pop degli anni Settanta, il viso radioso della donna dei dadi Star che porta alla bocca un cucchiaio pieno di minuscole falci e martelli, opera dell’illustratore Giuseppe Incampo.

Si parte dal 1978, l’anno del sequestro Moro, dei mondiali d’Argentina, della guerra in Libano, dei tre papi, ma anche dell’avvento sulle Tv italiane di Ufo Robot, e saltando di undici anni in undici si arriva ai giorni nostri. Il mondo cambia in fretta, le trasformazioni sono radicali, e testimone di questo magma è il cibo, rilevatore culturale come pochi. Si passa così dalle tavole degli anni Ottanta, debordanti di pennette alla vodka, tortellini panna e prosciutto e tartine al caviale, all’avvento dello slow food, passando per le mode etniche, il sushi e il sashimi.

È il racconto di oltre trent’anni della nostra storia, un racconto che si dipana attraverso l’uso di un particolare espediente narrativo. Un’aspirante giornalista di nome Federica chiede di fare un’intervista a uno scrittore quarantenne barese trapiantato a Milano. Lo scrittore invita la giornalista in un’enoteca. Davanti a un tagliere di formaggi e salumi e a una discreta quantità di vino si lascia andare a una narrazione fluviale, che ben presto si trasforma in un’amara requisitoria sulla svendita di quel patrimonio di idee e identità che un tempo fu la sinistra.

Il libro di Coratelli affronta con tono a tratti lieve e nostalgico quella che può essere definita come la biografia di un trentennio a tavola. Se l’uomo è davvero ciò che mangia, come sosteneva Feuerbach, la coincidenza tra essere e mangiare sembra ancor più valida per l’homo sinister. Ma la conclusione è impietosa: mentre si ponevano le basi per la grande crisi finanziaria di oggi, la sinistra che faceva? “Inebetita – risponde il protagonista del racconto –frequentava salotti, assaggiava sapori della terra e scambiava ometti con il golfino per amichetti con cui andare a cena”.

 

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Andrea Pomella

01

Recensione su "Il Paradiso degli Orchi"
a Quando il comunismo finì a tavola

Fernando Coratelli è al suo secondo libro, dopo un romanzo pubblicato da Cadmo alcuni anni fa. Fra le altre cose è anche co-ideatore di tornogiovedi.it, bellissima rivista on line di storie, fotografie, rubriche varie.
Il breve romanzo Quando il comunismo finì a tavola. Trentatré anni per smettere di mangiare bambini (l'editore è Caratterimobili di Bari – città natale di Coratelli, ora di stanza a Milano), attraverso l'espediente narrativo di un'intervista che l'io-narrante (uno scrittore) concede a una giornalista per un webmagazine, rivede la storia italiana degli ultimi trent'anni, soffermandosi su quattro momenti topici, il 1978, il 1989, il 2001 e il 2011.
In questi snodi fondamentali della Storia, segnatamente quella di sinistra, il narratore fa coincidere passaggi cruciali della propria vita, che verso quella parte politica ha guardato come al proprio orizzonte di riferimento. La piega che prende il racconto non potrà perciò non definire le tappe di un tracollo, di una sconfitta, di un disorientamento esistenziale oltre che politico. Il trauma – si capisce – di passare da Berlinguer, con tutti i suoi limiti o errori alla nullità di Veltroni.
Il nostro nel '78 è un bambino, deve preoccuparsi soprattutto che il maestro delle elementari non faccia cadere la bacchetta di legno sulle sue manine delicate. Non sa che una punizione più drammatica sta uccidendo i suoi sogni futuri nella culla. Che dalla morte di Aldo Moro (ma è anche l'anno tragico di Peppino Impastato, del trionfo argentino ai mondiali di calcio mentre i militari scrivono la loro pagina nera, del preavviso di sfratto a un secolo di diritti sociali della signora Thatcher...) la nostra storia sta correndo dritta verso lo strapiombo – si dirà: il piombo in quegli anni era merce diffusa. Vero. Ma di lì a poco, quando tutti si metteranno a cantare Vamos a la Playa, morirà – allegro, cieco, stupidissimo - l'intero paese. Lobotomizzato dal Craxi che il Partito Deprimente negli ultimi anni non ha smesso di "rivalutare"... Anche se per il narratore "l'anno di torsione" è l'Ottantanove – inutile spiegare perché. L'Italia, nonostante tutte le sue incredibili peculiarità, non è estranea a processi di portata internazionale: non è che la sinistra sia morta solo da noi.
Ma aggiustiamo il tiro: il narratore non è un piagnone, uno di quei militanti duri e puri de 'na vorta che fuori della politica, zero (dopo, cioè oggi, tutto fuorché politica). Ha sempre avuto le sue personali passioni, musicali per esempio (i Cure), il Bari inteso come squadra di calcio, le storie sentimentali – alla giornalista premerebbe saperne un po' di più, in effetti. L'intervista peraltro si svolge in un'enoteca, e gli si dà dentro con formaggi e salumi. Il vino fa la sua parte: c'è un aspetto ludico cifrato in una specie di balletto - da seduti. La chiacchierata, per quanto tutto si svolga entro i confini di un incontro di lavoro, non esclude l'ammiccamento soft – in scena son due giovanotti in fondo. Il nostro non manca di gigioneggiare, senza scoprirsi troppo, aspettando le mosse della ragazza, evidentemente curiosa al di là dell'aspetto professionale. Del resto, lui - non è difficile immaginare una certa convergenza con l'autore empirico – non fa che alludere a quello, al fatto che a cambiare sono stati anche i modi di vivere. Non ci sono più bambini da mangiare, si va matti per le tartine al caviale e le penne alla vodka (e la panna è ovunque)... 
Ha creduto all'utopia (e comunista), poi è stato costretto a rassegnarsi all'evidenza di una sconfitta, senza con questo accreditare "la verità" dei vincitori; ma i segni che individua nel cammino verso la disfatta oscillano dalla perentorietà dell'evidenza alla precarietà dell'aporia, dello scetticismo, del disorientamento. Si tratti di cheesburger o slow food, non è persuaso della bontà di ciò che vede. Fino alle mazzate di Genova 2001: lì non c'è più appello. La ragazza ascolta, e impara cose che non conosceva. E si fa venire dei pensieri. Ma non è l'unica delle possibili sorprese. Ché intorno a questa fragile cornice aleggia un'ombra: la lasciamo alla curiosità del lettore.

 

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Michele Lupo

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