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INTERVISTE

OVVERO: CHI SEI TU, CIOÈ IO?

 

Qui di seguito potrete trovare alcune interviste che mi hanno fatto, uscite su giornali, magazine o blog.

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Intervista su "PugliaLibre"
 

Partiamo dal principio: perché e quando sei venuto a vivere a Milano.

 

Sono arrivato a Milano nell’autunno del 1998, altro secolo, altro millennio. Milano non è stata la scelta di vita, è venuta casuale, più che altro la mia essenza nomade mi ha portato via da Bari. Se fossi nato a Milano sarei andato via da Milano – mi sento migrante.

 

Arrivato in Lombardia, quali erano le tue idee? Come ti sei avvicinato al mondo editoriale?

 

A Milano sono venuto a frequentare un corso di Tecniche editoriali. Scrivevo, sognavo di fare il romanziere, ma non volevo fare altro nella vita, cioè ho pensato “vorrei lavorare di ciò che amo più di ogni altra cosa fare: leggere e scrivere”.

 

Il tuo pamphlet, Quando il comunismo finì a tavola, in un certo senso, ricorda un testo candidato al Premio Strega, Il desiderio di essere come tutti di Francesco Piccolo. L’hai letto? In generale, segui i premi letterari?

 

Ammetto di non avere letto il libro di Francesco Piccolo, e in ogni caso il mio è antecedente al suo. Non è uno dei miei autori di immediato riferimento, se mi passi l’espressione, non so se lo leggerò, insomma, ho altri più urgenti da leggere. Non seguo i premi, perché in Italia non ce n’è uno che non sia stabilito a tavolino dai grandi gruppi editoriali, non sono mai premi meritocratici ma sempre di potere.

 

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Azzurra Scattarella

 

04

Intervista su "Il Quotidiano di Puglia"
 

Dopo aver fatto parlare di sé con Quando il comunismo finì a tavola (Caratterimobili, 2011), il barese Fernando Coratelli - scrittore, editor e direttore  editoriale di Lite-editions - torna in libreria con il suo ultimo romanzo La resa (Gaffi, 16,90 euro). Si tratta di una riflessione sul declino dell’Occidente visto attraverso gli occhi di quattro protagonisti, in una Milano sconvolta da quattro esplosioni causate da altrettanti terroristi.

Un romanzo dalla lunga gestazione...

 

«Quasi infinita, direi: è stato terminato fra il 2007 e il 2008. Purtroppo c’è un nuovo modo di fare editoria in cui sembra esserci spazio solo per storie a lieto fine e personaggi sbarazzini. C’è poi chi propone di pubblicarti ma solo a patto di rovesciare il senso originario della storia. Quando finalmente ho firmato per Gaffi e ho rimesso mano al romanzo, ho dovuto aggiornare tutta la parte tecnologica: il tam tam legato agli attentati avveniva via blog e non c’era traccia di Facebook e Twitter! E poi ho dovuto trasformare tutti i cellulari in smartphone...».

 

Sono stati necessari anche altri aggiornamenti?

 

 «No. La matrice islamica dell’attentato resta attendibile, come dimostrano i recenti fatti di Boston. Per certi versi ero stato preveggente: in tempi di guerra in Iraq, avevo chiamato in causa Siria e Iran, che suonano molto più attuali adesso che allora».

 

Anche il declino dell’Occidente resta un tema molto attuale...

 

«Lo è sempre di più: le cose sono se possibile peggiorate. Nell’ultima stesura ho dovuto parlare anche della crisi economica. Si può dire che la resa dell’Occidente stia avvenendo senza bisogno di attentati. E in effetti quello degli attentati era fin dall’inizio un escamotage per raccontare quattro personaggi che di fronte al tracollo della loro civiltà cercano di reagire ma finiscono per tritarsi da soli. Tommaso non riesce a uscire dalle ideologie e dagli schemi del passato. Agata si rifugia nel volontariato ma scopre che è un mondo marcio quanto quello delle multinazionali. Andrea è schiavo dei miti della popolarità e dei soldi facili. Teresa vuole dedicarsi ai più deboli ma cede alle lusinghe della carriera. Sono quattro categorie di "occidentali" in cui tutti possiamo trovare degli elementi di identificazione».

 

C’è un motivo particolare per cui il teatro degli attentati è Milano?

 

«Qualcuno mi ha chiesto perché Milano e non Roma. Io ho risposto che a Roma c’è già abbastanza disordine e il rischio, in caso di attentato, sarebbe di non accorgersi della differenza! A parte gli scherzi, credo che un attentato a Milano avrebbe un impatto maggiore, sia per l’ordine che si andrebbe a sovvertire, sia per la reazione che susciterebbe in certi razzismi leghisti».

 

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Giuliano Pavone

 

03

Intervista su "MRS"
 

Estate 2013, 11 giugno, Milano. 4 kamikaze si fanno esplodere poco prima della dieci di mattina, in 4 punti nevralgici della città. Questo lo scenario inquietante e decisamente attuale con cui si apre il tuo romanzo. Quando e perché hai deciso di cominciare a scrivere La resa?

 

L'idea ha cominciato a ronzarmi già all'indomani dell'11 settembre. Però poi la definizione di trama e personaggi l'ho avuta dopo l'attentato londinese del luglio 2005.

 

 

Il libro ruota attorno all’esistenza post-attentati di alcuni personaggi le cui vite, già legate, si intrecciano ancora di più. Qual è la loro prima, forte reazione nella veste di sopravvissuti?

 

La reazione è quella dello sgomento unito a una certa spettacolarizzazione. È un effetto che vissero anche i newyorkesi la mattina degli attentati. Ci ricordiamo tutti quegli assembramenti sotto le torri prima che crollassero, tutti naso per aria e telecamere a riprendere. Solo quando le torri si sbriciolarono, e poi nei giorni seguenti, tutti presero coscienza reale dell'accaduto, e i sopravvissuti capirono di esserlo.

 

 

Tu credi nel destino? E tuoi protagonisti?

 

Sono ossessionato dalle coincidenze, o dal caso, o dal destino. Non so però se ci credo. I protagonisti del romanzo, invece, hanno una visione differente tra loro. Agata forse ci crede, Teresa e Tommaso se lo domandano, Andrea di certo non ci pensa.

 

 

Di fronte a una tragedia collettiva si tende a voler esternare e condividere con altri la propria opinione, è difficile non schierarsi e prendere una posizione da un punto di vista umano, sociale e politico. Con il tuo romanzo credi di essere riuscito a dare il giusto spazio a più forme e tendenze di pensiero?

 

Spero di sì. Era il mio obiettivo. Non volevo e non credo di avere dato risposte ma al contrario ritengo di avere insinuato dubbi, del tipo: tu lettore al posto dei vari personaggi cosa avresti fatto? Sei sicuro di potere giudicare se non ti trovi in una situazione simile?

 

 

C’è un personaggio che incarna meglio di altri la voce dell’autore?

 

Di primo acchito verrebbe da rispondere Tommaso. Però posso affermare con certezza che Tommaso non collima con me. Perlomeno non nella disillusione nichilista che si porta appresso.

 

 

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Sabrina Minetti

 

02

Intervista su "Il Paradiso degli Orchi"
 

Fernando, m'interessa il punto di vista dell'autore empirico, diciamo.

All'inizio del libro, come avrai visto, c'è un'avvertenza al lettore: l'io narrante e il narratore non collimano perfettamente. Ma autore e protagonista hanno parecchi punti in comune, in particolare circa le idee e le considerazioni sul mondo e sulla sinistra. A dire il vero sono molti anche i riferimenti autobiografici, direi che se si esclude l'escamotage narrativo dell'intervista il resto è quasi tutto coincidente con la mia biografia personale. Beh, ho cambiato qualche nome e ho invertito qualche episodio, questo per dare a certe idee più vigore.

Mi par di capire che concordi sostanzialmente con l'idea che l'89 per l'Occidente sia stato una catastrofe.

Lo profetizzò a suo tempo pure Giulio Andreotti (c'è una frase che metto in esergo). L'89 è stato una catastrofe e peraltro ha chiuso in anticipo il Novecento, il secolo breve, che si era anche aperto in ritardo nel 1914 con la Grande Guerra. La caduta del Muro ha avuto un effetto domino dirompente sia sul proscenio internazionale sia su quello italiano. Basti pensare alla Guerra del Golfo del 1990 di Bush padre: l'Unione Sovietica era ancora in piedi, ma ormai si era capito che non avrebbe più fatto da contrappeso (nel bene e nel male) a un'iniziativa di guerra da parte statunitense. Anche se quella guerra fu condotta sotto l'egida dell'Onu, con tutti i crismi internazionali eccetera, fu chiaro a tutti che da quel momento la Nato avrebbe sostituito l'Onu. In Italia, invece, la caduta del Muro accelerò quel processo di americanizzazione della sinistra che portò in fretta e furia a mettere in soffitta bandiere, simboli e storia per darsi alla grande abbuffata al cui tavolo da anni mangiavano democristiani e socialisti.

L'incrocio è obbligato. Hai vissuto con un certo coinvolgimento l'ambito politico e sei uno scrittore. Quale credi che sia un contributo possibile della letteratura allo stato delle cose? Non parlo in generale, dico oggi, in Italia.

È una domanda che ho sperato tu non mi facessi. So di essere assai pessimista al riguardo. Di botto risponderei "contributo possibile – nullo". Non so se la letteratura e l'arte in generale abbiano più potere di cambiare (se mai lo hanno avuto) le cose. Temo siano state del tutto disinnescate. Si può tentare di dare voce a chi voce non ha. Ma qui poi sorge un altro problema. Se anche la letteratura desse voce a emarginati/precari/vessati ci sarebbe poi qualcuno in ascolto? Fuor di metafora: chi legge oggi? So che non si risponde con domande a domande, ma sai io mi sento solo un narratore, pongo interrogativi cui io stesso cerco risposta.

 

 

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Michele Lupo

 

01

Intervista su "Lettera"
 

L'autore di Altrotempo ci parla del suo romanzo d'esordio, e non solo. 
 

Uno scrittore che si occupa di romanzi: hai deciso che volevi scrivere mentre facevi parte della redazione di una casa editrice o hai sentito l'impulso di scrivere da sempre, e lavorare per e con i libri ti sembrava una scelta naturale? Cosa ti ha spinto, poi, a rimescolare le carte e a fare scelte differenti da quelle che ti hanno portato a Milano?


La seconda che hai detto.
Ho sempre scritto e voluto scrivere. Pensa che il mio primo racconto è datato 1984, avevo tredici anni. Ho sempre creduto che l'unica cosa che sapessi fare era scrivere e leggere. Così, mi sono detto, se è vero come dicono gli antichi cheCarmina non dant panem e non si può vivere di scrittura, però si può provare a vivere di quello che gravita intorno al mondo dei libri. Ecco fatta la scelta di salire a Milano e iniziare a lavorare nell'editoria.

 

Racconti una storia nella storia: come sei riuscito a non farti fagocitare dai personaggi e dalle tue stesse idee e a portare avanti una vicenda per poi lasciarla scappare via, riprenderla, lasciarla ancora e fare posto, contemporaneamente ad un'altra storia? 

 

E' l'effetto Droste. Quando ero bambino mia nonna comprava il cacao Droste - cacao olandese.

L'immagine riportata sulla latta era un'infermiera con un vassoio sul quale c'era la scatola Droste che raffigurava l'infermiera con un vassoio con la scatola, e così via all'infinito. Ho sempre fantasticato su quella scatola. Volevo raccontare una storia che riproducesse l'effetto Droste. Crescendo ho scoperto che esiste per davvero l'effetto Droste, è un particolare tipo di pittura fiamminga, nata proprio a causa di quella scatola. L'effetto è riprodotto persino sulla copertina di Ummagumma dei Pink Floyd. Come si vede, non sono l'unico psicopatico.

 

Hai una particolare cura nella descrizione dei tuoi personaggi: sono vivi e reali e non sembrano persone che, in realtà, non esistono veramente. Riesci così bene perché scrivendo hai in mente dei modelli già stabiliti, o perché mentre scrivi ti vengono alla mente tutte le caratteristiche proprie dei tuoi futuri protagonisti? 

 

Credo sia la combinazione delle due cose. Osservo molto la realtà, la gente, mi piace stare al bar, o anche in trattoria da solo, a analizzare chi mi sta intorno. Come un pittore butto giù uno schizzo, un'idea. Ho miriadi di personaggi parcheggiati in appunti della mia memoria, qualche volta del mio hard disk. C'è stato un periodo in cui giravo con il registratore, perché avevo timore di non riuscire a caratterizzare i dialoghi dei personaggi.
Alla fine, unisco due o tre character e traccio i protagonisti che a quel punto hanno una loro ben precisa identità.

 

 

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Alice Scolamacchia

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